Discorso inaugurazione Mostra – Presidente Ciambetti – Venezia 9 luglio 2020

Innanzitutto un ringraziamento a voi tutti per essere qui con noi in questo momento di riflessione sui 50 anni di vita delle Regioni a statuto ordinario e della regione del Veneto. Un grazie sincero a quanti, e non sono pochi, hanno collaborato per la riuscita di questa giornata, la cura e l’allestimento della mostra, la pubblicazione dei volumi che i professori Filiberto Agostini e Mario Bertolissi presenteranno questa mattina. Un grazie al segretario generale Roberto Valente e ai suoi collaboratori, all’Ufficio studi e alla Biblioteca del Consiglio, al dottor Alessandro Rota e alla dottoressa Nicoletta Martorana.

Come qualcuno avrà già avuto modo di vedere la nostra mostra idealmente si apre con l’elenco dei veneti eletti alla Costituente, perché le Regioni sono incardinate nella Costituzione e nel solco della Costituzione si sono sviluppate sin dall’inizio con lo statuto del Veneto steso dalla Commissione speciale presieduta da un giovanissimo Marino Cortese, che ci ha lasciato pochi mesi or sono, approvato il 4 dicembre 1970 con 48 voti a favore con il solo voto contrario del rappresentante missino. Quello statuto poneva come pilastro l’autogoverno del Popolo veneto e questi cinquant’anni possono essere letti come la ricerca di quell’autogoverno, ricerca culminata con il referendum dell’ottobre 2017 e l’ampio mandato assegnato alla Regione da oltre 2 milioni e 300 mila elettori per trattare con il governo come previsto dalla Costituzione.

L’autonomia, voglio dire, in questa Regione è valore culturale, che vede dei punti di riferimento storici da Silvio Trentin ad illustri studiosi del diritto costituzionale come il cattolico Feliciano Benvenuti e il laico Livio Paladin, e poi ancora Giorgio Berti, Giorgio Pastori, uomini delle istituzioni, e capaci di formare e informare generazioni di professionisti e ricercatori cresciuti nel rispetto del valore democratico del regionalismo sentito come valore e non come egoismo come vorrebbe una bieca propaganda che purtroppo ha molta eco nello stato e in tanta stampa.

Il primo atto del primo presidente del Consiglio regionale, Vito Orcalli, e del suo ufficio di presidenza, quel 7 luglio 1970, fu accogliere i delegati degli operai di Marghera in sciopero, per ascoltarne le ragioni e le denunce di uno scenario di crisi complessa, che si sarebbe estesa negli anni successivi a tutta l’economia e società veneta, una società in trasformazione che vedeva l’esodo dalle campagne e per molti, ancora, la via dell’emigrazione. Quel Veneto ancora rurale è andato via via trasformandosi e la Regione ha accompagnato questo mutamento favorendo in maniera decisiva lo sviluppo, dando gli strumenti pianificatori e leggi che hanno consentito la crescita, permettendo investimenti nel tentativo riuscito di colmare almeno in parte il gap infrastrutturale che ci divideva, e ancor oggi ci penalizza, rispetto ai paesi più avanzati. L’investimento e l’impegno della Regione sono stati determinanti.

Cinquant’anni dopo la nascita delle Regioni a statuto ordinario, nell’era della società post-industriale la nostra terra è tra i motori dell’economia europea. Ciò è stato frutto dell’azione comune, del contributo di tutti gli attori sociali, economici e culturali, di tutte le forze della nostra realtà, dalla libera impresa al sindacato fino all’associazionismo solidale, il mondo della ricerca e della cultura che hanno visto e trovato nella Regione in punto di riferimento.

La politica è lo specchio e il frutto della società, non è una parte staccata della realtà socio-culturale, bensì è espressione di un tessuto complesso e chi vuole far credere che la politica è la parte negativa della società, una parte che può essere sostituita facilmente non rende un servizio alla collettività, né alla democrazia, ma casomai fa, anche inconsapevolmente, un servizio a poteri occulti, a persone senza volto e senza consenso. La politica non si improvvisa: il politico improvvisato è un ostaggio delle consorterie, mentre vediamo ancor oggi quanta ragione avesse Giovanni Giolitti nel sostenere che una poltrona ministeriale è il perfetto sedativo per placare le smanie rivoluzionarie.

Bisogna sfatare il mito infausto della politica come elemento negativo e credo che ripercorrere questi 50 anni sia utilissimo in questo senso.

Certo, lo sviluppo ha portato non poche contraddizioni, ha visto anche errori, fatto emergere modelli e personaggi tutt’altro che commendevoli, ma ha anche liberato il nostro territorio da antichi mali, dalla povertà, dalla fame, dal sottosviluppo, dalla miseria e dall’ignoranza.

Nessuno vuole nascondere problematiche drammatiche che investono la nostra Regione come tutto il Mondo occidentale: pensiamo alle sfide ambientali, la lotta all’inquinamento, la tutela del territorio, la necessità di ricalibrare lo sviluppo e difendere i ceti più deboli, tutelare le famiglie, difendere la scuola e difendere i cittadini nell’era dei social, difendere l’informazione, creare posti di lavoro per i nostri giovani oggi purtroppo costretti a lasciare la madrepatria per cercare occasioni di impiego adeguate alla loro formazione.

Ma la storia ci invita a guardare al futuro con fiducia. La riprova l’abbiamo avuta in questi ultimi mesi, quando tutto il Veneto ha saputo far squadra: se abbiamo retto meglio di altri, diventando un modello studiato all’estero, davanti alla sfida della pandemia del Coronavirus è perché la politica si è posta a capo, assumendosi responsabilità anche gravose, con scelte anche controcorrente, diventando punto autorevole di riferimento non solo nella regia della sanità pubblica, ma anche della ricerca e dell’intervento sociale. Grazie al presidente Zaia e ai suoi valenti collaboratori, a iniziare dall’amica Manuela Lanzarin, abbiamo retto e vinto tutti assieme, vedendo bene che questa sfida si vince certo in prima linea ma anche grazie all’impegno delle retrovie, i nostri cittadini che hanno dimostrato uno straordinario senso civico e si sono affidati fiduciosamente alla Regione. Abbiamo vinto grazie a un modello di sanità universale voluto da una veneta, Tina Anselmi, e applicato per primo proprio dalla Regione del veneto in un anno, 1978, che segnò il momento più difficile e amaro nella guerra al terrorismo, che vide il Veneto al centro delle azioni eversive, ma anche in quell’occasione vide il veneto vincente sulla barbarie.

Alla violenza stragista e brigatista, le Istituzioni democratiche risposero con le riforme, risposero andando nelle fabbriche, come ricorda l’amico Luciano Righi, oggi con noi ma all’epoca assessore regionale al lavoro. Risposero dando leggi idonee allo sviluppo di una società moderna, crearono occupazione, fecero investimenti. Pur nello smarrimento di giorni in cui si rischiava la vita a far politica, come ad essere giornalisti, sindacalisti, magistrati o uomini delle Forze dell’ordine, le Istituzioni e la Regione seppero reggere e dare una risposta democratica, alta e nobile.

Questa è la storia della nostra Regione, una storia che si intreccia con mille altre storie e incontra la Storia del mondo e anche qui scopriremo che la Regione del Veneto la sua parte la seppe svolgere con lungimiranza, anticipando i tempi del confronto con i Paesi oltrecortina aprendo la strada dl dialogo.

Abbiamo conosciuto formidabili ostacoli e ciò in dall’inizio dell’avventura regionale, come ricordò Eugenio Gatto, trevigiano, ministro per l’attuazione delle Regioni, del quale abbiamo pubblicato la ristampa del suo volume “Come nacquero le Regioni”.

Non rubo altro tempo: dico solo che la nostra storia continua, e continua nel solco della sua tradizione democratica e nel rispetto della Costituzione. Concludo, dunque, ringraziando chi ha fatto questa storia, ma ringraziando soprattutto il Popolo veneto, il mondo del lavoro e della cultura, la nostra società che si accinge ad affrontare mesi veramente difficili come quelli che ci attendono davanti a una crisi economica devastante: sono convinto che li supereremo come abbiamo sempre fatto, facendo leva sui nostri valori democratici, sul senso di sacrificio e su quella straordinaria solidarietà che attraversa la nostra comunità con l’apporto impagabile del mondo dell’associazionismo e del volontariato. Un pensiero caro vada a quanti hanno subito lutti dolorosi in questi mesi, a chi si trova in difficoltà: faremo il possibile affinché nessuno sia lasciato indietro, nessuno sia lasciato solo. Un pensiero sincero vada anche al Veneto fuori dal veneto, ai veneti della diaspora, che stanno vivendo anche loro ore drammatiche: penso alle nostre comunità in Austrailia, a Melbourne, e in America latina, con particolare apprensione per i nostri connazionali in Venezuela.

La Regione del Veneto a metà degli anni Settanta del secolo scorso fu protagonista del rilancio delle relazioni con gli emigranti veneti e volle e finanziò i primi studi, la prima mostra sull’emigrazione, nel 1975, affrontando un capitolo fino ad allora quasi nascosto della nostra storia di povertà, certo, ma anche di grande dignità.

Noi siamo fieri della nostra storia e siamo eredi di una grande storia che si respira in questa città unica al mondo come nei nostri borghi e in tutto il territorio.

Così mi permetto di chiudere riandando a una vecchio invito gramsciano: guardiamo al presente con il pessimismo dell’intelligenza ma al futuro con l’ottimismo della volontà. Alle nostre spalle 50’ anni di vita democratica ci spingono verso il domani nel segno dell’impegno per l’autonomia e l’autogoverno del popolo veneto come vuole la Costituzione democratica italiana con la quale ho iniziato e concludo il mio saluto: la nostra storia è ben lungi dall’essere conclusa.