(Arv) Venezia, 12 lug. 2019 – Presentato oggi a palazzo Ferro Fini, sede del Consiglio regionale del Veneto, il Settimo rapporto CNA “Autonomia per lo Sviluppo” realizzato dalle CNA di Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna. A porgere i saluti istituzionali, il Presidente dell’Assemblea legislativa Roberto Ciambetti che, nel ringraziare il Presidente di CNA Veneto Alessandro Conte e Alberto Cestari, ricercatore del Centro Studi Sintesi di Venezia, che hanno presentato il Rapporto, ha fatto riferimento “All’ennesimo e immotivato stop al confronto tra governo e regioni sull’autonomia” ed ha ricordato che nel Rapporto vi sono “dati emblematici che da soli basterebbero a smentire quell’insieme di stereotipi e banalità con le quali troppo spesso si parla con vasta ignoranza del processo autonomista in Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna. Egoismo, radicato provincialismo, scarsa lungimiranza e ottusa visione degli scenari contemporanei, sono preconcetti a cui si ricorre con eccessiva disinvoltura soprattutto quando non si vuole guardare in faccia la realtà e affrontare un esame approfondito come quello che la Cna oggi presenta con dati sui quali occorre riflettere. Purtroppo una parte del mondo politico e della classe dirigente, e non solo nel Mezzogiorno – ha puntualizzato il Presidente Ciambetti – si servono sistematicamente di notizie contraffatte mirando a disorientare l’opinione pubblica, snaturandone reazioni e sentimenti: le verità vengono negate, i numeri falsati senza alcun pudore e senza alcun pudore si manipolano notizie diffondendo tesi strumentalmente false, ma che tornano utili ai nuovi e vecchi gattopardi, la cui vanità e arroganza sono più forti della loro miseria. C’è una disonestà di fondo che lascia sgomenti, ma non sorprende: sin dall’inizio avevamo detto che lungo la strada dettata dalla Costituzione, agendo in modo trasparente e cristallino nel rispetto della democrazia, avremmo trovato formidabili ostacoli, sotterfugi e impreviste difficoltà e atteggiamenti antidemocratici. Ciò non di meno, noi non desistiamo nella convinzione che chi vuole difendere lo status-quo e la propria rendita di posizione rischia di portare il Paese al declino, impedendo alle forze sane della società italiana, non solo le tre regioni guida del processo autonomista ma l’intero Paese, di affrontare la sfida della globalizzazione nel tramonto degli stati-nazione di impronta ottocentesca: non si affronta la modernità con vecchi strumenti. La richiesta di autonomia non si presenta nelle nostre Regioni come “la secessione degli italiani ricchi” per usare le incaute parole che il Presidente della Regione Toscana ha affidato a Facebook mercoledì scorso, ma come progetto strategico. Mi limito a ricordare un dato: negli ultimi 15 anni la perdita di occupati nel manifatturiero europeo è evidente e tra quindici anni, continuando questo andamento, forse solo la Germania potrà essere considerata una realtà produttiva in grado di sedere al tavolo del G8. Con questo scenario potenziale chiedersi quale sarà la fonte della ricchezza, su cosa si baserà il nostro Pil non significa porsi una domanda inutile, significa chiedersi come vivranno i nostri figli, con quale tenore e qualità della vita. L’Italia si fonda sul lavoro, dice la Costituzione, ma senza lavoro, senza industria, senza manifatturiero, l’Italia è un Paese destinato a non avere prospettive, se non molto limitate, di sviluppo. In altre parole, bisogna dare una risposta alla domanda su quale sarà la fonte di ricchezza collettiva, se vogliamo raccogliere e affrontare quella sfida che negli anni Novanta Ralf Dahrendorf aveva già intuito: quadrare il cerchio tra benessere economico, coesione sociale e libertà politica, quadrare il cerchio per salvare lo stato sociale basato sulla democrazia, salvare la nostra Nazione basata sul lavoro. E fatta questa domanda a quanti parlano dell’autonomia come secessione dei ricchi, come primo passo di disgregazione del Paese dico che è molto più pericoloso quel sistema che oggi, per un paradosso tutto italico, sottrae risorse vitali per le regioni produttive, destinando gran parte della spesa pubblica, alimentata da una pressione fiscale insostenibile, a funzioni improduttive al servizio del non-lavoro: non è che fermando la locomotiva si dà modo di avanzare agli ultimi vagoni del treno Italia.
Casomai, si avvia la decrescita più o meno infelice all’ombra della politica del No ad ogni innovazione: che si tratti di dotare il Paese di infrastrutture fisica vitali e all’avanguardia o di infrastrutture innanzitutto etiche come Regioni autonome, responsabili davanti ai cittadini della qualità degli investimenti e dei servizi e del modo in cui viene speso il pubblico denaro”. “Nel Rapporto – ha affermato il Presidente regionale di CNA Veneto Alessandro Conte – abbiamo provato a legare i dati economici all’autonomia differenziata, evidenziando come, tramite l’autonomia differenziata, il nostro Veneto potrebbe avere sia risorse da investire, sia risorse da gestire in maniera diversa, a vantaggio del territorio, dell’economia, delle imprese e dello sviluppo.

In questi ultimi anni sono mancati gli investimenti infrastrutturali e gli stimoli per la piccola impresa. Anche se le nostre imprese sono votate soprattutto all’export, il loro legame con il territorio è forte: un rapporto sinergico consentirebbe un prodotto migliore, una migliore qualità della vita e maggiori risorse per il nostro territorio. Un settore che potrebbe trovare grande giovamento dall’autonomia differenziata è lo sviluppo del turismo, perché il turismo lega attività commerciali e artigianali, pensiamo solo alla riqualificazione degli edifici, e in particolare perché il nostro territorio non è fatto solo di mare e montagna, esiste un turismo legato alla cultura di grande importanza, e nuove forme di turismo, come quello legato alle ciclovie, in grande espansione e crescita”. “Il Rapporto contiene di fatto una prima ricerca – ha evidenziato il Alberto Cestari del Centro Studi Sintesi – che fornisce i primi dati concreti relativamente al primo impatto dell’autonomia sul Veneto, con lo spostamento di risorse dal centro alla periferia. Da questo quadro emerge che questo spostamento di risorse ammonterebbe a circa 3,8 miliardi di euro, un aumento del bilancio della Regione del 29% rispetto a quello attuale e un effetto volano sull’economia quantificabile con un aumento del PIL pari allo 0,2% annuo”.