Non si può comparare l’emigrazione italiana con gli attuali flussi migratori provenienti dall’Africa e dal Medio Oriente. Questa premessa è necessaria, nel giorno della commemorazione della tragedia di Marcinelle, quando nella miniera Bois du Cazier in Belgio morirono 262 minatori, dei quali 136 italiani e tra questi cinque veneti.
Come è noto, gli italiani andarono a lavorare nelle miniere belghe sulla scorta di un preciso accordo preso tra lo stato italiano e il regno belga. L’ accordo venne raggiunto il 20 giugno 1946 e l’Italia, in cambio di carbone, si impegnava a mandare duemila lavoratori alla settimana alle miniere belghe. Il Belgio, da parte sua, avrebbe venduto all’Italia fino a 200 chili di carbone al giorno per ogni emigrato. In tutte le piazze del Veneto e nel Mezzogiorno d’Italia partì una campagna di reclutamento senza pari, ma la selezione non fu aperta a tutti: gli emigranti non dovevano avere più di 35 anni né, tantomeno, essere comunisti o teste calde. Su quest’ultimo punto i belgi furono inflessibili e la polizia non perse tempo: gli indesiderati per motivi politici venivano rispediti a casa senza tante scuse. Non si andava tanto per il sottile: i minatori italiani erano destinati agli strati più bassi delle miniere, dove i lavoratori belgi si rifiutavano di scendere. Ma non solo: i nostri emigranti sarebbero stati ospitati nelle baracche presso i pozzi costruite durante l’occupazione dai tedeschi che vi alloggiavano i prigionieri costretti a lavorare in miniera: piccoli lager in tempo di pace. Anche con la Germania il governo italiano firmò nel 1955 una intesa per garantire un apporto di manodopera selezionata per le imprese tedesche. L’accordo prevedeva esplicitamente che gli emigranti italiani dovessero innanzitutto presentare il certificato di buona condotta rilasciato dai sindaci dei rispettivi comuni di provenienza, dopo di ché bisogna superare l’esame professionale, in cui i selezionatori tedeschi verificavano il grado d’istruzione generale posseduto dal candidato, la capacità di lettura e il far di calcolo. C’era quindi l’esame medico che aveva lo scopo di accertare lo stato di salute generale e l’idoneità fisica dell’immigrato per il posto di lavoro prescelto. Erano escluse dal reclutamento le persone affette da “malattie e imperfezioni che avrebbero potuto limitare o annullare l’idoneità al mestiere” o che avrebbero potuto “danneggiare la convivenza con altre persone» o, ancora, che avrebbero potuto «richiedere continue cure mediche”. Il testo dell’accordo Italia-Germania poi prevedeva esplicitamente alcune patologie, “la tubercolosi polmonare, le malattie infettive o parassitarie contagiose, i disturbi dell’apparato digestivo «suscettibili di aggravamento per effetto del cambiamento del regime alimentare”. Non potevano superare la selezione gli immigrati con “diminuzioni considerevoli della funzione degli organi della vista e dell’udito, carie e paradentosi necessitanti cure mediche o dentatura con insufficiente capacità di masticazione”.
In entrambe gli accordi bilaterali Italia-Belgio e Italia Germania assistiamo ad una regolamentazione rigida del flusso migratorio, un ferreo controllo sia sullo stato di salute come sulle tendenze politiche, affidabilità e rispetto delle norme della civile convivenza.
Difficile fare paragoni con l’attualità. Sono mutati i tempi e le condizioni. Ma non per questo si è xenofobi se si pretende maggiore attenzione su chi viene accolto, sulla sua salute e, sulla propensione a delinquere, su eventuali precedenti penali, ovvero la prossimità o vicinanza a gruppi estremistici, a fondamentalisti come terroristi, di chi viene ospitato, a spese nostre a casa nostra.
Non entro in polemica con chi è responsabile delle porte spalancate ad una immigrazione indiscriminata ne con chi sostiene come necessaria questa strada. Quando ci viene rinfacciato che dovremmo aver memoria di quando gli emigranti eravamo noi, sarebbe importante che, contestualmente, si tenesse bene a mente quali barriere, selezioni, ostacoli venivano posti ai nostri concittadini che andavano all’estero chiamati dai governi di quei Paesi. Non c’era spazio per clandestini, ammalati anche lievi, e teste calde: altro che terroristi, clandestini, delinquenti, spacciatori di droga…