A settant’anni la democrazia non era vecchia. Malandata certo, ma non da rottamare, da curare. La Democrazia è una di quelle piante che riescono a rigenerarsi, trovando in sé la linfa vitale per continuare a crescere e svilupparsi, ma solo se esiste il rispetto delle opinioni altrui, la capacità di ascolto e dialogo e un profondo senso etico e morale.

Quando ciò non accade, quando si reputa la propria idea e persona al di sopra di tutto e tutti le cose si mettono male e lo vediamo bene in queste ore convulse in cui si vorrebbe imporre al Paese una sedicente riforma elettorale, una truffa che fa riandare la mente al programma della P2 e della massoneria deviata.

Quando la democrazia è malata e non trova i suoi pilastri fondamentali che dovrebbero essere gli anticorpi contro le deviazioni e tentazioni totalitariste, può accadere che parassiti riescano ad avere la meglio e la pianta s’ammala. Anche il giovane che si reputa grande statista, la parlamentare dalla carriera fulminea, l’inetto di turno che non si rende conto d’essere l’utile idiota al servizio di questo o quel potentato possono diventare parassiti mortali: l’elevata autostima di costoro impedisce di vedere e capire i pericoli a cui espongono il Paese e ha ragione Crozza a dire che se Berlusconi avesse anche solo ventilato una svolta di questo genere l’Italia intera sarebbe stata paralizzata e l’opinione pubblica monopolizzata dai vari soloni, oggi silenti o impotenti.
La democrazia italiana è (era?) ancora troppo giovane, aveva superato certo grandi prove, come l’attacco del terrorismo politico, ma non traggano in inganno i suoi settant’anni che non sono molti se comparati ai processi che altre nazioni, seppur tra alti e bassi, hanno sperimentato ad iniziare dal Regno Unito capace, diversamente dall’Italia, d’affrontare anche sfide eccezionali come il recentissimo referendum per l’Indipendenza della Scozia: un Paese democratico non ha paura delle urne elettorali. In Italia, invece, si fa in modo di disinnescare il potenziale democratico delle elezioni.
Ecco perché riecheggiano ancora a Roma, funeste, le parole “Potevo fare di questa Aula sorda e grigia un bivacco di manipoli: potevo sprangare il Parlamento…” Dietro la faccia simpatica e scanzonata del principino toscano si celava ben altro personaggio: una specie di Jekyll and Mr. Hyde che oggi ci ha ricordato quella pagina in cui Machiavelli attribuisce a Cosimo de’ Medici il detto per cui gli Stati non si governano coi pater noster in mano quasi a volerci dire che il politico non può svolgere la propria azione seguendo i precetti della morale e dell’etica. Spregiudicatezza tutta toscana, velenosa o, come avrebbe detto in un suo ben noto dramma, “Les mains sales”, Jean Paul Sartre per il quale chi fa politica non può fare a meno di sporcarsi le mani e, aggiungo io, la coscienza. Mentre il Paese avrebbe bisogno dell’impegno corale per combattere la disoccupazione, risistemare la materia pensionistica, restituire dignità agli esodati, costringere le banche a dare credito a famiglie e imprese c’è chi tenta vergognosi colpi di stato cambiando le regole senza rispettare le minoranze. In Veneto cambiammo la legge elettorale nel 2012 con 45 voti favorevoli, 1 contrario. A Roma anche i numeri danno torto al dottor Jekyll o Mr Hyde e signora…Boschi, s’intende, il cui nome, toscanamente, sembra introdurre a quella selva oscura della lunga notte della democrazia.