“Due milioni di rifugiati in Polonia: commuove e colpisce lo sforzo messo in campo dai voivodati polacchi per l’accoglienza. La guerra lascia ferite profonde: occorreranno decenni per tornare alla normalità”

“La guerra vista da qui, in Polonia non lontano dai confini con l’Ucraina, è molto diversa da come viene raccontata o da come la vediamo nei reportage televisivi: qui le macerie stanno dentro il cuore e nella mente delle persone, sono ferite profonde nell’anima, brandelli di ricordi, dolore, ansie, paura e timori per chi è rimasto a casa, chi si è perduto di vista, figli, mariti, parenti o amici dei quali non si sa più nulla”. Il presidente del Consiglio regionale del Veneto Roberto Ciambetti, dai presidenti dei Voivodati di Cracovia e della Podcarpazia, ai confini con l’Ucraina, è al centro del sistema di accoglienza di chi fugge dalla guerra assieme al consigliere comunale vicentino Jacopo Maltauro: “Sorprende sia l’efficienza del modello approntato, sia la razionalità con cui si muovono i polacchi – spiega Ciambetti – efficienza ma anche tanto buon cuore e disponibilità umana che lascia senza parole. Dai punti di raccolta alle frontiere i profughi vengono fatti arrivare a Cracovia via treno e portati alla Touron Arena dove, dopo la registrazione, vengono assistiti e quindi smistati nel territorio e in altre regioni: i polacchi non vogliono dar vita a campi profughi. Il centro allestito in collaborazione con le Nazioni Unite Unhcr alla Tourun Arena di Cracovia, con i suoi 16 mila posti a sedere il più grande palazzetto in Polonia, è impressionante per razionalità, pulizia, e qualità del servizio. L’area Vip dell’impianto è stata destinata alle mamme con i bambini: uno spazio protetto, dove si cerca di garantire la maggiore serenità possibile e nei limiti del possibile. Credo che Karol Wojtila sarebbe stato veramente orgoglioso della sua gente: in Italia abbiamo accolto, cito dati ufficiali, attorno agli 80 mila profughi, anche se poi il dato reale è maggiore – spiega Ciambetti – Qui in Polonia si parla di oltre due milioni di persone: da noi è una emergenza, qui i numeri sono da catastrofe umanitaria. La prima ondata di profughi sapeva dove andare in Europa: si trattava di ucraini che hanno fatto conto su parenti, amici o conoscenti già emigrati all’estero. Quelli che sono rimasti in Polonia, invece, vorrebbero rimanere il più vicino possibile a casa, nella speranza di poter rientrare al più presto nel loro Paese. Ci sono sentimenti altalenanti: chi pensa che si giungerà a breve a una soluzione, chi invece è molto più pessimista, ma più passa il tempo, più si scavano ferite profonde e il rischio è che si accumuli odio su odio e si capisce che ci vorranno anni, decenni, per ritornare alla normalità. Così alla fine è difficile non maledire in cuore tutti i guerrafondai, chi ha voluto questa guerra, chi non ha fatto nulla per evitarla, anzi, ha fatto e magari sta facendo di tutto per farla esplodere e continuare, chi si sta arricchendo in modo spudorato e immorale gonfiando i prezzi di materie prime anche su generi essenziali e derrate alimentari: prima finisce questa tragedia meglio è per tutti. Bisognerà pensare alla ricostruzione non tanto materiale, quanto morale: le macerie fisiche sono facili da gestire; quelle del cuore e del ricordo, invece, chiederanno un lavoro estenuante. Ma adesso, c’è un esodo biblico qui in Polonia da affrontare e non possiamo lasciare soli i polacchi davanti a questa tragedia”.