Da tempo, ormai, i profeti del neocentralismo attaccano sistematicamente le Regioni, indicandole come le grandi responsabili dello sfacelo italiano. Ci si spinge a chiederne l’abolizione adducendo i più diversi motivi, lasciando intendere come dopo questa operazione tutto rientrerà nella norma e l’Italia potrà riprendere a veleggiare verso le “magnifiche sorti e progressive”.
Come ciò possa accadere, in verità, nessuno lo spiega. Nessuno lo può spiegare perché le Regioni sono solo un capro espiatorio o, se preferite, una diagnosi sbagliata dei mali italiani. E a sbagliare le diagnosi le malattie s’aggravano.
Si dà la colpa alle Regioni di tutto, per non vedere quanto sta accadendo: in questo Paese non si parla più di debito pubblico esploso e non più controllabile, di spread, non si parla della disoccupazione, non si parla dei giovani metà dei quali non hanno impiego, nulla si dice sulla situazione del 44% dei pensionati italiani, cioè 7 milioni di persone, che non percepiscono nemmeno mille Euro al mese e che, nel 13% dei casi, non superano neppure i 500 euro mensili. Si tace sulla povertà che cresce e le guerre tra poveri che attraversano borgate popolari e periferie non fanno notizia, mentre dilaga una criminalità, in buona parte importata, devastante. E’ tutta colpa delle Regioni?
Aboliamo le Regioni, ma le contraddizioni non si risolveranno né i problemi evaporeranno, anzi. Lo dimostrano i numeri. Secondo Carlo Cottarelli, commissario alla spending review, che spiegò chiaramente che negli ultimi anni le Regioni avevano compresso la loro spesa del 16%, del 14% le province, dell’8% i Comuni e lo stato centrale solo del 10%. Inoltre lo stato, al netto dei titoli pubbliciche emette per coprire il fabbisogno della Pubblica amministrazione, ha un livello di indebitamento più che triplo rispetto a quello di Regioni, Province e Comuni messi assieme. Le Province sono indebitate per circa 5,4 miliardi, pari al 1,6% del debito totale al netto dei titoli pubblici; a seguire Asl, Università, Comunità montane e Camere di Commercio, con un importo di 14,5 miliardi cioè il 4,3% del totale, quindi le Regioni con 23,4 miliardi, cioè il 6,9% del totale. Più esposta la posizione dei Comuni con 38,2 miliardi pari all’11,3% del totale. Facciamo la somma: il decentramento ha un indebitamento complessivo pari al 24.1 % davanti al debito del 75.9 % dello stato. Chi deve rimettere a posto i conti? veramente pensiamo che abolendo le Regioni si troveranno tesori e risorse culturali, etiche e morali per risistemare tutto il sistema?
Non è un caso se oggi, davanti lo scenario italiano, osservatori esteri di norma prudenti, come il Guardian si lanciano in profezie su un rovinoso ritorno italiano alla lira a cui fa eco Jacques Sapirche da tempo vaticinia il default degli anelli deboli dell’area Euro.
Il default italiano è innanzitutto etico e culturale e sta tutto in quelprocesso di rimozione per cui si fugge dai problemi che non vogliamo affrontare. Si cercano capri espiatori: un giorno sono le Regioni, l’altro le Province, quindi i sindacati, i pensionati, i bamboccioni, chi si oppone alle riforme annuncioate ma mai realizzate…. Come già a accadde nel passato si punta all’uomo della Provvidenza, ma né il neoperonismo, né il neocentralismo che della svolta autoritaria è premessa, saranno sufficienti a salvare dallo sfacelo.
Così, riandando alla “Ginestra” in precedenza citata, con il Leopardi potremmo anche noi, amaramente, sottotitolare questa fase con la citazione giovannea “E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce”. Già. Siamo nel buio pesto.
24 novembre 2014
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