NIENTE TASSE SENZA RAPPRESENTANZA: MODELLI E LOGICHE DI SISTEMI DI GOVERNO SUB-NAZIONALI. UN DIBATTITO APERTO TRA CENTRO E PERIFERIA.

“No taxation without rapresentation” non fu solo il motto con cui da Boston si irradiò la protesta contro Giorgio III e l’impero britannico, quanto una sintesi di un pilastro delle democrazie occidentali: il cittadino è un azionista, che riceve un dividendo sociale attraverso una serie di servizi. Quando questi servizi non sono più erogati in maniera adeguata rispetto al prezzo pagato e rispetto alle esigenze di una società che si confronta e può fare paragoni su scala internazionale, al cittadino rimane l’impressione di essere un mero pagatore. Ma il mero pagatore è un suddito non è più un cittadino. Non è più cittadino quando il prelievo fiscale non è assolutamente in linea con il servizio pubblico reso, ovvero quando il residuo fiscale, la differenza tra quanto versato e quanto ricevuto, supera livelli di tollerabilità. Questa è l’essenza del dibattito odierno: garantire la democrazia e quindi riconquistare il ruolo dell’ente pubblico in uno scenario profondamente mutato e in continua evoluzione.
La crisi epocale che stiamo vivendo, la riorganizzazione del capitalismo, i nuovi equilibri geopolitici, le innovazioni tecnologiche, la cyberdemocrazia, e gli scenari già individuati da Pierre Levy, impongono una nuova definizione del ruolo, funzioni, luoghi e strumenti della politica: si tratta, in altre parole, di raccogliere quella sfida che negli anni Novanta Ralf Dahrendorf aveva già intuito, quadrare il cerchio tra benessere economico, coesione sociale e libertà politica, quadrare il cerchio per salvare lo stato sociale basato sulla democrazia.
Quale strada, dunque? Pensare globalmente, ma agire localmente che non è solo uno slogan efficace ma la spiegazione delle ragioni del regionalismo, cioè dei governi sub-nazionali, e della forza dell’autonomia garantita al decentramento. Pensare globalmente ma dare forza, risorse e capacità di intervento, cioè garantire capacità impositiva e autonoma gestione dei fondi pubblici a chi opera nella realtà locale.
La globalizzazione che ha fatto esplodere mille contraddizioni della nostra società consumistico-capitalistica ha messo in crisi la politica come l’abbiamo sempre conosciuta e nei suoi equilibri, tradizionali, ha mostrato i limiti evidenti dello stato-nazione centralizzato, ma ciò non toglie che il cittadino non si chieda quale politica, e per chi, saprà utilizzare lo spazio aperto dalla globalizzazione, quale forma di stato o di organizzazione comune potrà gestire la società.
Suona come monito l’avvertimento di Baumann “Il nuovo ordine mondiale, che troppo spesso appare come un nuovo disordine mondiale, ha bisogno proprio di stati deboli per conservarsi e riprodursi”: il decentramento, l’autonomia sono l’esatto contrario dello stato debole: il cittadino che vive dove può controllare come viene speso il prelievo fiscale è un cittadino che vive in uno stato forte, uno stato sovrano e solo il decentramento può assicurare questo controllo. Ciò impone un salto di qualità culturale anche nella classe politica. Per dirla con Ulrich Beck: “con l’epoca della globalità non scocca l’ora della fine della politica, ma si apre per quest’ultima una nuova era”. Un’era in cui fondamentale è riuscire a ri-organizzarsi, perché anche il decentramento deve conoscere una stagione di modernizzazione e riorganizzazione sulla base delle esigenze di una società moderna: base della riorganizzazione è l’autonomia di spesa possibile solo se esiste una chiara autonomia nella gestione delle entrate.
Per questo diciamo che negli scenari globalizzati non si è azzerata la domanda di una regia pubblica, anzi, questa si è rafforzata, accentuata, ma tra i cittadini e le imprese emerge con chiarezza il bisogno di una unità di comando, di rapidità delle decisioni, di efficienza e funzionalità delle istituzioni e di snellimento drastico dell’apparato burocratico che solo un forte decentramento e una forte devoluzione di poteri dal centro alle periferie può garantire. In caso contrario assisteremo a quel coacervo di politiche neocentralistiche che segnano ad esempio la politica italiana, senza capire dove esse portano, perché nessuno lo dice, purtroppo però ben rammentando quanto diceva Vilfredo Pareto secondo il quale spesso le spoliazioni non incontrano una efficace resistenza da parte degli spogliati: “La storia ci insegna – scrisse Pareto – che più di una volta la spoliazione ha finito con l’uccidere la gallina dalle uova d’oro”. Il rischio è reale e con esso il pericolo di una involuzione democratica e una perdita complessiva di competitività economica rispetto agli altri soggetti. Il neocentralismo è la strada perfetta per garantire quel disordine mondiale di cui parlava Baumann e nel quale oggi viviamo.
La vera svolta nasce solo dal federalismo fiscale e dalla riorganizzazione della devoluzione di poteri dal centro alla periferia seguendo sempre la bussola del pensare globalmente, cioè guardare al mondo e di conseguenza agire e incidere nella propria realtà.
1) La prima distinzione che mi viene spontanea è quella di assegnare allo stato-nazionale i fondi limitati all’espletamento delle funzioni nel campo della Giustizia, Difesa internazionale quindi le spese militari, rappresentanza estera. Ai governi sub-nazionali (Regioni) le imposte e tasse di scopo destinate a fornire tutti gli altri servizi, dall’istruzione, alla cultura, alla sanità, gli investimenti infrastrutturali, al welfare, sulla base di precisi parametri standard, condivisi da tutti e approvati dalle autorità transnazionali che oggi gestiscono le politiche economiche-monetarie europee. Ai governi subnazionali spetterebbe di conseguenza anche l’azione di lotta all’evasione fiscale.
2) L’armonizzazione delle politiche fiscali si esplica nell’individuazione di obiettivi standard minimi nei servizi erogati comuni, obiettivi sotto i quali non si deve andare.
3) Ai governi sub-nazionali (Regioni) spetterebbero tutte le incombenze a partire dalla legislazione e poi dalla raccolta alla gestione dei flussi impositivi, fino alla creazione di un fondo di perequazione compartecipato da tutte le Regioni da destinare alle aree meno sviluppate attraverso accordi sottoscritti su base nazionale e controllati nella loro esecuzione e buon fine dalle autorità nazionali. Nelle politiche di perequazione rientrano anche le agevolazioni o sgravi fiscali, aiuti di stato per particolari tipologie di intervento o investimento, ovviamente anche queste concordate tra governi sub-nazionali e autorità centrale e autorizzate ovviamente dalle autorità transnazionali. Siamo in presenza di una autorità fiscale decentrata ,ma condivisa e coordinata, almeno per i grandi dati, su scala transnazionale.
4) I governi sub-nazionali appartenenti come no alla stessa nazione (politiche transfrontaliere) possono sviluppare politiche ed azioni coordinate e integrate tra loro.
5) Parametri standard devono riguardare anche i costi, onde evitare squilibri ingiustificati nella spesa.
6) Non sono ammesse forme di concorrenza sleale a seguito di diversi livelli di autonomia eccessivamente squilibrate tra Regioni o bacini territoriali contermini. (esempio Alto Adige-Trentino)
7) I governi sub-nazionali opereranno anche nella materia fiscale sulla base delle singole specificità e caratteristiche della propria economia e del tessuto sociale, fissando degli obiettivi chiari e mantenendo elevatissima la trasparenza nell’informazione sui dati relativi agli introiti, spesa, tipologia di costi sostenuti. L’elemento informativo (quasi sempre trascurato) è invece necessario e deve svilupparsi attraverso le moderne tecnologie (rete, social network, televisione e-news ecc.ecc.) Il cittadino disinformato, che non sa e al quale viene celata la verità, è un suddito.
Serve il federalismo fiscale e bisogna credere nelle Regioni. Le aree culturali dominanti, che in troppe realtà informano parte del mondo della politica e condizionano il sistema dell’informazione stessa, hanno sempre per così dire sottovalutato le Regioni, il localismo e i valori che esso comporta, la possibilità che esso ha di formare una classe dirigente locale a cui il sistema nazionale e transnazionale può attingere in maniera positiva. “C’è sempre una filosofia per la mancanza di coraggio” avrebbe spiegato Albert Camus: in effetti è vero, per affrontare questa svolta serve coraggio.
Credo anche che questa svolta sia la migliore, o la meno peggiore, nella transizione ai futuri equilibri che, per dirla ancora con Dahrendorf sono alquanto nebulosi.

Non è un caso se proprio in Gran Bretagna sia stato dato il via ad un processo di devoluzione di estremo interesse a cui bisogna guardare con molta attenzione indicativo della fase di transizione che stiamo vivendo.
Perché il Regno Unito ha scelto questa strada? Perché senza queste riforme non è possibile imboccare la strada di quella che chiamiamo green economy, concetto che uso in senso lato, perché anche uno stato, una pubblica amministrazione snelle, che costano poco e che gravano poco nel cittadino pur garantendo servizi essenziali, sono green economy. La green economy, voglio dire, non è solo energia rinnovabile, raccolte differenziate, meno inquinamento luminoso e dunque risparmio nell’illuminazione pubblica per fare qualche esempio: green economy è anche una pubblica amministrazione eco-sostenibile, una rete di servizi che guardi all’essere umano, all’uomo e alla donna, che sono protagonista, non unici per altro né soli della vita e della natura. Green economy come scelta di vita, come nuovo equilibrio. Green economy come ritorno all’unità di base: l’essere umano, i suoi bisogni, le sue esigenze, la sua aspirazione alla felicità per sé e per chi ama.
Non cadiamo nel tranello di chi pensa di avere la verità in tasca o del qualunquismo dilagante che vuole fare della politica il capro espiatorio di uno spreco di risorse che ha ben altri nomi: ogni qualvolta si propongono vere riforme ci si scontra con un muro, il muro dell’immobilismo. In verità tutto sta cambiando e bisogna scegliere se essere noi a governare, con gli strumento della democrazia, il cambiamento o se lasciare che siano altri a fare e disfare sulla nostra pelle.