Fare il formaggio come si è fatto per secoli, con il latte munto, rispettando tempi e metodologie produttive dettate dall’esperienza e dalle singole caratteristiche di ogni prodotto, è un ostacolo alla libera circolazione delle merci. Fare il formaggio con latte in polvere, invece, assolve alle esigenze del libero mercato. Questo lo dice l’Unione Europea: l’euroscetticismo nasce anche da queste scelte che sono emblematiche di un modo di concepire l’Europa, un grande mercato dove storia e tradizioni. Uomini e donne, contano poco.
Il libero mercato in verità libero non lo è più di tanto e considerato il ruolo e gli interessi della grande distribuzione e delle grandi multinazionali dell’alimentazione è facile immaginare chi sia l’ispiratore di scelte che non tutelano il cittadino consumatore e danneggiano il territorio.
La Nestlè ha un fatturato pari a 93 miliardi di Dollari: la Grecia, nel 2013, aveva un PIl complessivo pari a 246 miliardi di Dollari Usa, cioè 2,6 volte il fatturato della Nestlé. Le dieci principali multinazionali del cibo a livello mondiale rappresentano circa 450 miliardi di dollari di fatturato annuo e 7.000 miliardi di capitalizzazione: possono esercitare pressioni incredibili. Pecunia non olet. Il formaggio, quello vero, invece sì.
Anche per i formaggi come per il vino vale il concetto di terroir, termine francese intraducibile con il quale si indica il rapporto di un prodotto con il suo territorio di origine. E terroir significa anche profonde differenze di sapore, sensazioni, profumi. L’esatto contrario dell’omologazione dei sapori così perseguita dalle multinazionali del cibo. Terroir per tutte le derrate agricole di qualità, è una regione, una storia, una tradizione: il terroir è un aspetto unico dell’Europa dei cittadini, città, territori e Regioni. Lo Champagne è un vino prezioso, la Champagne una provincia storica: possiamo immaginare la Francia senza Champagne? Difendere i prodotti del terroir significa difendere un modello economico-produttivo che fa parte del nostro panorama fisico come culturale. Io arrivo da una parte del Veneto in cui la zootecnia è storia, si sviluppa nei prati stabili e irrigui di pianura, area di pregio ambientale, ma considerazioni analoghe, ad esempio, potrebbero essere fatte per l’allevamento d’alpeggio con razze autoctone. Così come il Veneto ha la Burtlina o la Rendena, nel Mezzogiorno ci sono le varie specie della Podolica e ciascuna razza produce un latte particolare da cui si ricava un formaggio particolare.
Il latte in polvere è senza memoria, non ha tracciabilità, non nasce nella stalla e nella casere ma nei laboratori chimici. E’ anonimo e asettico.
Rispondere no alla proposta europea non significa barricarsi in una sorta di sciovinismo alimentare. No, si tratta di scendere in campo a difendere il diritto del consumatore e di un sistema di allevamento e produzione: difendere l’ecosistema e la diversità, che è la vera forza culturale di una realtà variegata come quella europea.
Il formaggio fatto con latte in polvere non è formaggio. L’Unione Europea vuol dare libera circolazione a un prodotto fatto con latte in polvere? Trovi un bel nome, originale, divertente e così lo chiami e lo metta in vendita con tanto di spiegazione nell’etichetta “derivato di latte (forse) in polvere”.
Anche così si difende l’idea di Europa dei popoli, delle Regioni, dei sapori e dei saperi diversi. In caso contrario, si difendono gli interessi di pochi gruppi e ristrette oligarchie.
Ma allora, non chiamiamola Europa.
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