Quel pasticciaccio brutto delle province ha un responsabile unico, ben preciso, il governo italiano, che all’inizio parlò dell’abolizione dell’ente, di risparmi milionari, di maggiore efficienza e funzionalità. Ad oggi, si brancola invece nella nebbia totale con il risultato di avere circa 20 mila lavoratori in ansia e cittadini che vedono messo a rischio servizi che non sono marginali.
I semi di una situazione ormai fuori controllo furono piantati da Mario Monti, il quale personalmente detestava l’istituto provinciale e non accettò alcun consiglio di prudenza sul tema: l’idea di Monti era quella dell’abolizione totale delle province, atto prodromico allo smantellamento di tutti gli apparati provinciali dello stato, dalle prefetture alle varie agenzie statali, il che avrebbe determinato risparmi di scala nei conti pubblici. L’operazione non sarebbe stata indolore, anche perché l’unico modo per risparmiare è licenziare il personale, operazione questa decisamente impopolare e spaventosa in uno scenario in cui la disoccupazione nazionale è già elevata e i lavoratori anziani, gli ultracinquantenni, non riescono a ricollocarsi.
Così il governo Renzi, non ha abolito le province, anzi, con la Riforma Delrio si è limitato a diminuire il tasso di democrazia dell’istituto provinciale, senza con questo diminuire la presenza del personale politico che vede, anzi, in alcuni casi rafforzato a dismisura il ruolo. Risparmi concreti? Poca cosa. Con la legge di stabilità 2015, in contrasto con la Riforma Delrio come stigmatizzato dalla Corte dei Conti, sempre il governo ha determinato esuberi per circa 20 mila lavoratori scaricando poi nel decentramento la soluzione del problema di questi neo-esodati.
Ricordate le dichiarazioni del ministro Madia a metà Maggio? Il governo avrebbe garantito posto di lavoro e stipendio ai dipendenti provinciali. Si era a due settimane dal voto e oggi quelle parole sembrano essere passate nella collezione delle promesse elettorali impossibili da mantenere… Sempre il governo, ancora un mese fa, garantiva l’attivazione di una agenzia nazionale per l’impiego, in grado di assorbire le attuali strutture provinciali, affrontando in maniera decisa un nodo cruciale per il mercato del lavoro, tema chiave. Negli stessi giorni sempre l’esecutivo dava per certo il passaggio degli uomini della polizia provinciale nel Corpo Forestale.
Dell’agenzia nazionale per l’impiego non si parla più salvo ipotizzare una struttura di bacino locale con un contributo statale di 70 milioni di euro su 220 milioni di spesa (e il resto, chi lo paga?) e per quanto riguarda la polizia provinciale questa è destinata a confluire nei corpi della vigilanza municipale, spesa a carico dei comuni. Risparmi? Chi si sgrava sono i conti dello stato, ma non quelli di Comuni e Regioni.
La confusione, in altre parole, è grande e alta, e la colpa non si può scaricare né sulle organizzazioni sindacali, né sulle province, sui Comuni o sulle Regioni: nel volgere di poche settimane ci viene presentata una tesi smentita pochi giorno dopo e non esistono certezze. Da mesi il governo tenta di dividere gli enti locali e di addebitare a chi non ha responsabilità le conseguenze delle sue scelte: il gioco alla lunga non può reggere.
L’impressione è quella di trovarsi in una nave lasciata in balia delle onde, dove chi è al comando non riesce a dare né ordini congrui al timoniere e alla sala macchine, né informazioni corrette ai passeggeri. Scena già vista di recente: nave Concordia. Ben altra concordia, oggi, rischia di spezzarsi tra i marosi delle contraddizioni.