Sui numeri non si bara: è lo stato che non riesce a mettersi in regola. Il decentramento, gli istituti di previdenza sociale invece hanno fatto la loro parte: il debito delle Amministrazioni pubbliche centrali è aumentato in marzo di 15,3 miliardi, a 2.184,5 miliardi superando il precedente massimo di 2.169 toccato nel mese di febbraio.
La singolare anomalia di uno stato che pretende sacrifici da tutti, salvo poi esimersi dall’intraprendere qualsiasi dieta. I dati di Banklitalia suonano come sirena d’allarme che non può rimanere inascoltata. Le amministrazioni locali hanno diminuito il loro debito e anche gli istituti di previdenza sono riusciti a contenere l’indebitamento: nonostante ciò, il debito complessivo è cresciuto di una quindicina di miliardi, diciamo una mezza manovra finanziaria. Nel 2013 Le Regioni avevano un debito pari a 37 miliardi e 289 milioni, scesi a marzo 2015 a 33 miliardi e 764 milioni con una diminuzione del 9.45 %. Anche le Province hanno diminuito il loro monte debitorio del 5.83 % dal 2013 a marzo 2015, mentre i comuni sono scesi da 47 miliardi 463 milioni a 46 miliardi 183 milioni con il calo del 2.6 %. Complessivamente le amministrazioni locali sono passate da 108 miliardi 585 del 2013 a 99 miliardi 618 milioni: diminuzione dell’8.25 % complessivo. Nel dettaglio noto che il Nordest è passato dal 15 miliardi 456 milioni di stock debitorio nel 2013 a 13 miliardi 553 milioni, con un calo del 12.3 %, il che la dice lunga su chi, più di altri, si accolla in tutti i sensi il peso del risanamento. Ma il risanamento non può esistere se il debito, anziché diminuire, continua a crescere quando quasi tutti stiamo spendendo meno: la situazione è molto più grave di quanto non si pensi, perché c’è una emorragia di fondi che fa capo allo stato e che noi paghiamo abbattendo la qualità della vita.
Ma di questo tipo di emorragie si muore.
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