Kenneth Dyson nel suo “States, Debts & Power” (Oxford University Press, 2014) spiega che il primo default pubblico della storia è riconducibile all’Antica Grecia, quando tra il 377 e 373 a.C., tredici città che avevano preso a prestito dal Tesoro del Tempio di Delo non furono in grado di onorare i rimborsi e dichiararono bancarotta.
Se il primo fallimento statale è greco, il termine bancarotta, diffuso nelle lingue europee, è toscano. Negli statuti medioevali dei Comuni italiani, memori delle usanze dell’antica Roma, si parla di bancae ruptio: banca e banchieri prendono il nome dal banco di legno su cui esercitavano il loro commercio; da banco abbiamo banca e se il banco non manteneva i suoi impegni veniva rotto da cui appunto bancarotta. Default, che originariamente in Inghilterra significava crimine, peccato, ha le suo origini nel latino fallere, ingannare, idea che ritroviamo nell’atteggiamento di Bruxelles verso Atene.

A parte l’Antica Grecia, uno dei primi clamorosi e su scala globale di bancae ruptio risale al 1341 a Firenze: da una parte l’annuncio del sovrano inglese Edoardo III ai banchieri fiorentini di non poter rimborsare 1.365.000 fiorini – una cifra immensa per l’epoca – dall’altra il raffreddamento dei rapporti tra i banchi di Firenze e la casa regnante a Napoli: si scatenò il panico con la corsa a ritirare i risparmi con effetto contagio. Nel volgere di pochi anni fallirono dal 1341 gli Acciaioli, i Bonaccorsi, i Cocchi, gli Antellesi, i Corsini, i da Uzzano, i Perendoli a cui seguirono nel 1343 i Peruzzi e nel 1846 i Bardi.

In realtà la crisi aveva ben altre radici: già a partire dal 1290 si erano registrate una serie di gravi carestie in Europa dovute al raffreddamento del clima. Dall’Inghilterra alla Linguadoca si registrarono una ventina d’anni consecutivi di raccolti insufficienti. Nell’Europa mediterranea i picchi di carestia si raggiunsero tra il 1346 e il 1347. Tra il 1325 ed il 1340 le estati furono fresche con abbondanti piogge che oltre a mandare in rovina i già magri raccolti aumentarono le aree paludose. Tra il 1339 e il 1340 molte città italiane furono colpite da una serie di epidemie di infezioni intestinali. In questo scenario drammatico, s’aggiunse nel 1347 l’arrivo nei porti mediterranei della Peste nera, dapprima a Istanbul poi Messina e Ragusa in Dalmazia, con la pandemia che in Europa si calcola uccise circa un terzo della popolazione.

Tra le conseguenze dello scenario drammatico vi furono una serie di rivolte dalle jacquerie dei contadini francesi a quelle italiane dei Ciompi sino alla sollevazione cristiano-popolare dei contadini inglesi del 1381.

Le crisi finanziarie non vengono mai da sole e spesso sono conseguenze e non cause di ben altri ne complessi scenari. “Quando il passato parla, lo fa sempre nelle vesti di un oracolo” diceva Nieztsche nelle sue “Considerazioni inattuali”. Se ascoltassimo questo oracolo forse inquadreremmo la crisi dell’Euro e la posizione greca nel più vasto caso che sta investendo oggi Mediterraneo e Mar Nero, da Gibilterra a Sebastopoli tra paesi destabilizzati o in via di destabilizzazione, guerre minacciate e preannunciate, con migrazioni di dimensioni bibliche, tra aspirazioni egemoniche di potenze regionali e l’affermazione dell’Isis che ha conquistato al suo califfato una regione più vasta della Francia e può gestire, con le sue infiltrazioni in Libia, la strategia del terrore con cui ha dichiarato guerra all’Occidente.

Ridurre la questione della Grecia al nodo del rimborso del debito di Atene senza guardare a quanto sta accadendo attorno a noi è un errore fatale. Non possiamo far finta di nulla: il passato ci parla con la forza degli oracoli della Grecia antica.